Troll è un appellativo proprio della letteratura nordica, ripescato dalla saga di Tolkien e moderne derive manga.
I troll sono spiritelli più o meno dispettosi che si insinuano nelle vicende e disturbano il protagonista nel compimento dei suoi obiettivi. Talvolta però lo aiutano, loro malgrado, destando dubbi e sospetti che si possono rivelare perfino salvifici! Quindi troll è un intruso”, un grillo parlante, un avatar del diavoletto che invade la sfera del super-io.
È da anni se ne sente parlare in ambito social media, i troll infatti popolano da anni i social più diffusi. Sono dei falsi profili creati ad hoc per scopi precisi. Sono all’apparenza dei Mario Rossi sintetici che interagiscono con gli utenti veri, con te e con me. E si esprimono con modalità, toni e pertinenza dialettica assolutamente umana.
Ma a cosa serve un troll?
Di intelligenza artificiale e robot che semplificano la ricerca ne abbiamo tutti una qualche esperienza: Siri e Alexa risiedono su tutti gli smartphone da almeno un decennio. Ubbidienti rispondono a comandi vocali semplici e imparano a riconoscere la voce e perfino le abitudini dell’utente.
La trasposizione di un risponditore AI su un foglio di testo, come il nostro profilo face*book è tecnologicamente più semplice da realizzare rispetto ad un robot parlante. Voglio pensare che questa tecnologia sia stata creata è alimentata a fini prima filantropici – ricerca- poi commerciali.
Infatti i sondaggi e la misurazione del sentimento popolare sono alla base del marketing e avere tanti robot che registrano opinioni sui vari tazebao è molto ghiotto per chi commercia dati sensibili.
Una pratica di marketing molto frequente è la registrazione e sistematizzazione di dati anagrafabili, quei dati che corredano i profili pubblicati da ognuno di noi e messi in rete. Questi dati si chiamano Lead.
I lead sono quindi persone fisiche che, come me e te abbiamo conferito gratuitamente a decine di server – faccia libro in primis – i nostri dati anagrafici, le preferenze, abitudini, gusti alimentari, i nostri orientamenti sessuali, religiosi e politici, le abitudini e i nomi dei nostri familiari e amici con rispettive “cartelle sociopatiche”.
I leads sono acquisiti da questi mostri asettici e perfettamente cavillosi che incessantemente scandagliano ogni singolo post. Il tuo post è oggetto di minuziosa analisi sostanziale, contestuale e perfino emozionale (!).
Il lato molto sicuro di questo enorme dispiego di forze – assolutamente da plaudire per la mole di posti di lavoro che crea – sono i paradigmi giuridici e di controllo sulla materia trattata: la vita di milioni di individui, che viene segmentata e analizzata per farne dati algoritmici da usare e rivendere.
Usare e rivendere, perché i lead costano e – se saputi canalizzare – hanno una forza dirompente in termini di opinione quindi di espressione e radicamento nelle comunità; anch’esse oggetto di costante analisi di big data che – quando serve- vengono incrociati, rimescolati, segmentato e comparati e – perché no? -nuovamente stimolati. Come? Con strumenti informatici avanzati, ovviamente, i bot, i troll, gli spider, programmi software che si insinuano in vari modi e perseverano più o meno latenti nelle bacheche di gruppi, chat, canali di messaggistica e annunci di vario genere.
Questa industria è un esercito di potenti server sempre alla massima efficienza costruiti e sorvegliati da persone fisiche – ovviamente. È una industria che vive e si alimenta di un esercito di individui altamente qualificati: analisti, sociologi, politologo, data manager, competenze in statistica, programmatori e markettari. Alcuni operano in team, abitando spazi fisici come uffici o interi palazzi mentre i più lavorano in remoto, da casa o in giro per il Globo, partecipando all’evolversi di questi mostri trita-dati che pochi fantasiosi scrittori avevano vagamente immaginato appena 25 anni fa, agli albori del world wide web.
Ma torniamo ai nuovi trolls
il sistema complesso sopra descritto dapprima ha necessità di scandagliare dati e quindi rispondere alla domanda di committenti aziende, gruppi di interesse, politici o operatori in area finanza, sicurezza, sanità e altri.
Nel lead da offrire al committente di turno, il dato “opinione” ha tanto più valore quando sia fresco e associabile a utenti di ciccia tracciabil e “sensibili”, sono lead utili perché qualificati plasmabili. Ma se nome cognome e data di nascita non cambiano, l’opinione del lead cambia eccome! Come la si può controllare? Infine, perché non tentare di pilotarla?
Ed ecco i new trolls …
Fino a pochi anni fa, queste imprese assoldavano poveri cristi in carne ed ossa, fornivano loro una work station e un centinaio di user: identità plausibili, complete di foto del profilo, un album verosimile con sorrisi di fronte a grigliate e tuffi in piscina. Insomma utenti assolutamente fasulli che si spacciano per liberi cittadini. Questi profili e i loro “animatori” vennero presto definiti troll.
Il troll informatico ha quindi goduto di una dignità propria ma viene presto soppiantato dalla macchina. Una volta impostati ed istruiti a simulare il chattare convenzionale, questi sistemi informatici scatenano conversazioni tendenziose, degli autentici flussi di opinione con i quali alimentano thread su temi decisi a monte.
Questi troll si appiccicano ai lead dei quali già conoscono i dati base (cultura, area di interesse, network di influenza, gusti, esigenze ed opinioni). Come pulci o parassiti instancabili queste macchine registrano, riportano, recuperano e segmentato dati.
Molte cose scritte sugli infidi social (nessuno escluso, purtroppo) sono strumenti orchestrati da … macchine!
Inutile fare gli ingenui: chi ha ordito e gestisce questi enormi luna Park perché mai non ci chiede il biglietto di ingresso?
Ricordiamo i recenti scandali sui dati trafugati da una società connessa al social della F bianca su campo blu? Le accuse di sabotaggio dati durante campagne elettorali?
Come mai certi politici sono incredibilmente sempre on line?
Ecco: intelligenza artificiale e machine learning allevano e perfezionano questi “risponditori” che impestano i social.
Il motivo? Presto detto: recuperare e vendere dati sensibili.
Misurare, contenere, orientare, predire, testare temi caldi e innescarne di nuovi in modo opportunistico, il tutto su commissione, magari temi forti come immigrazione, personaggi, sessualità, politica, costume, finanza, politiche sociali, …)
Certi troll descritti sopra sono profili social, ma essendo infaticabili computer (bot generativi) sono capaci di auto apprendere dai thread e questo li rende acuti ed efficaci: li allevi tu con le tue reazioni, razionali, ponderate, logiche.
E la macchina registra, acquisisce e riutilizza.
Essi sono programmati in AI (come Alexa o Siri) e registrano le bacheche per comprendere e sistematizzare il massimo di parole, concetti, tesi, obiezioni.
E rispondono: con precisione, schiettezza e talvolta ironia. Sono bravissimi robot linguistici i troll. Sono programmati per auto apprendere e migliorano costantemente. È proprio la loro naturalezza e credibilità a farceli percepire umani e fragili come noi.
Ma il loro scopo è leggere il nostro modus di pensiero, ora. Ogni post pubblicato viene processato dalla macchina che reagirà in una delle modalità pre-configurate dal regista, attento a corrispondere alle attese del committente di tutto l’impianto.
Poco importa se il robot è programmato per sondare gusti di acqua in bottiglia o della imminente rappresaglia armata in un confine russo caucasico.
I dati sono riconducibili a numeri, si sa. Riducibili a numeri sono anche le opinioni, i like. E così anche le tessere di un partito e i voti da raccogliere per mantenere o conquistare un seggio, vincere una presidenza, irrobustire una maggioranza che vuole legittimarsi a gestire il bene comune .
Sui social i nostri dati albergano e diventano generose ed eloquenti elargizioni di gran valore. Essi vengono elaborati per poi tornarci addosso sotto forma di offerte, di richieste di sottoscrizione, di condivisione di slogan o semplice attestazione di condivisione di slogan e messaggi.
Pochi anni fa questa scienza era solo teoria, si definiva machine learning.
Oggi si chiama intelligenza artificiale.
Si deve dar atto che non esistono troppi misteri su programmi, progetti ed esperienze che evolvono a velocità impressionante. Questi programmi, vere zecche tossiche di qualunque moderatore e utente ordinario di bacheche digitali, sono perfino in vendita con caratteristiche e prezzi. Certi tools di social spying sono a disposizione di web master e sviluppatori.
Le discipline che studiano i linguaggi e la lingua, le parole, il loro uso corrente e traslato grazie a questi nuovi strumenti informatici sono off e ormai capaci di analizzare e acquisire anche gli idiomi locali, le figure retoriche, i registri e gli stili. Tal disciplina di chiama metalinguistica. Insomma l’epoca della meta comunicazione è arrivata.
E ragionare di quel nome scelto non a caso per rifondare il social più diffuso potrebbe adire a scenari non proprio confortevoli