06/07 maggio 2022 Fardella (PZ)
E’ proprio vero che la Basilicata è tutta da scoprire e fa venir voglia di girovagare sempre alla scoperta di nuovi angoli nascosti, ma alcuni comuni di questa regione chiedono a gran voce un periodico ritorno. L’accoglienza è spesso talmente familiare da legarti a doppio filo ad alcuni luoghi. E così siamo di nuovo a Fardella, da Gennarino, Biagio, Vincenza… a passeggiare fra boschi ombrosi alla ricerca di sorgenti di acqua pura, fra i vicoli del centro storico alla scoperta dei suoi preziosi portali, nelle campagne piene di frutti a perdere lo sguardo verso il Pollino. Questa terra di immigrati prima e di emigranti poi, di intere famiglie partite nella speranza di migliori condizioni economiche e a volte tornate, ci ha rapiti riempiendoci il cuore. Fardella, con i suoi poco più che 500 abitanti è il luogo perfetto per chi è alla ricerca di un tranquillo eremo ospitale dove la modernità non ha scalfito il sapore dell’antico. Siamo qui da poche ore sotto ad un nuvolone che preannuncia pioggia e che lascia intravedere i raggi del sole solo di tanto in tanto, ma siamo felici. Le salsicce fresche, primo acquisto obbligato, son già nel frigo e il salame speziato al peperone sta già solleticando le nostre papille gustative. Mentre ci avviamo verso il ristorante di Biagio, dalle finestre vien già fuori profumo di tagliata di manzo ai porcini.
Usciti dal ristorante, sazi e appagati, il nuvolone sulle nostre teste copre la vista della luna e delle stelle. E’ maggio e fa freddo. Si preannuncia pioggia. E’ soprattutto grazie all’ottimo vino che abbiamo in corpo, se decidiamo di provarci comunque: questa notte dormiremo qui, sognando il sole. Ad una notte di pioggia segue una mattina di pioggia. Per andare a far colazione al bar dobbiamo dotarci di ombrello. La speranza di una bella giornata è l’ultima a morire e credo proprio che oggi morirà annegata! Al tavolo del bar si ragiona meglio. L’idea sarebbe quella di raggiungere San Costantino Albanese per la festa della Madonna della Stella. L’idea di visitare un paese fondato da popolazioni albanesi che conserva ancora oggi l’identità, le funzioni religiose in rito bizantino, i costumi e l’arbërishtë (l’antico idioma albanese), ci solletica non poco la fantasia. Oggi, come ogni seconda domenica di maggio, a San Costantino Albanese, i “Nusazit” (pupazzi antropomorfi di cartapesta) vengono esposti su un palco nella piazza principale, riempiti con polvere pirica e razzi, vengono fatti detonare alla presenza di tutta la comunità in festa.
Pensiamo debba trattarsi di una celebrazione molto molto interessante e saremmo spinti a sfidare il meteo per raggiungere subito la val Sarmento, nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, e il piccolo paesino a 650 metri sul livello del mare. Leggiamo on line qualche informazione aggiuntiva su questa ricorrenza e scopriamo con stupore che i “Nusazit” sono pupazzi a grandezza naturale che raffigurano una donna (nusja), un pastore (Kapjel picut), due fabbri (furxharet) e il diavolo (djallthi). La donna è vestita con il costume di gala albanese; l’uomo, vestito con il tradizionale costume con il cappello a punta, porta due forme di ricotta; il Diavolo ha due facce, quattro corna, i piedi a zoccolo di cavallo (Kemb rrutullore), porta in mano una forca (furrçilja) e la catena del paiolo (Kamastra).
Oltre ai Nusazit, in occasione della festa, viene realizzato un altro pupazzo di cartapesta imbottito di polvere pirica, raffigurante un cavallo col Cavaliere (Kali) pieno anch’ esso di petardi, che viene acceso la sera della vigilia della festa in piazza. Il cavallo con il cavaliere ha un telaio rettangolare ed è trasportato con passo saltellante da un uomo posto al suo interno.
La sera della vigilia è giusto questa sera. Non possiamo certo restare qui a Fardella. Bisognerà approfittare dell’occasione e spostarci a San Costantino. Inoltre potremo finalmente assistere ad una messa officiata con il rito Greco-Bizantino quasi interamente cantata in albanese antico. Dopo più di un’ora a bere caffè e a controllare previsioni meteo con lo sguardo perso nel grigio umido che copre il cielo fuori dalla finestra, decidiamo di contattare la Pro Loco di San Costantino per ricevere l’aiuto decisivo ai fini della nostra scelta sul da farsi. Il risultato della telefonata affoga definitivamente tutte le nostre ultime speranze in un’enorme bacinella di pioggia. Il cavallo e gli altri pupi sono zuppi e il legno zuppo, da che mondo è mondo, non brucia. Niente fuochi, niente festa!
Dopo un’altra ora e qualche altro caffè, siamo ancora al tavolo del bar e il cielo è ancora plumbeo. Smette di piovere solo all’ora di pranzo, il momento ideale per alzarsi da una sedia e andarsi a sedere su un’altra. L’importante è avere sempre un tavolo imbandito di fronte! Fra i peperoni cruschi che ci ha offerto Gennarino (il gestore dell’area sosta camper), le uova fresche regalateci da Biagio (il proprietario del ristorante che ci ha accolti ieri sera), la salsiccia speziata, un litro di vino e del liquore fatto in casa, il pranzo è servito. Attorno all’unica tavolata ci si ritrova in tanti: salentini, romani, cuneesi, svizzeri, tedeschi e olandesi. Nel frattempo il vento e il timido sole provvederanno ad asciugare il terreno per concederci la possibilità di una passeggiata nei boschi, almeno nel pomeriggio. Effettivamente, dopo pranzo, la pioggia ci concede una tregua. Allegri e spensierati ci dirigiamo verso la cappella della Madonna del Rosario e, da lì, proseguiamo per il belvedere. Un passo dopo l’altro, tutti in salita. Passi lenti e cadenzati lungo una striscia d’asfalto ripida. Passi che hanno un obbiettivo: arrivare a perdere lo sguardo sull’intero borgo con il campanile della chiesa madre che svetta alto e, ancora più lontano, su Teana, Chiaromonte e la valle di Serrapotamo, fino a vedere persino la diga di Monte Cotugno, a Senise, la più grande d’Europa in terra battuta. A destinazione ci guardiamo attorno: grigio a destra, grigio a sinistra, grigio all’orizzonte insolitamente vicino. Il grigio ci circonda ed è pure in basso, sotto ai nostri piedi. Siamo in una nuvola! Una volta che ci siamo capacitati di aver fallito l’obiettivo, non ci resta che ritornare sui nostri passi, lenti e cadenzati, questa volta in discesa.
(Area sosta camper a Fardella in Corso Vittorio Emanuele, dotata di energia elettrica, bagni, docce, lavanderia, servizio di carico e scarico acque. Prezzo 5 euro al giorno)
08.05.2022 Grottaglie (TA)
A sera ricomincia a piovere e ad una seconda notte di pioggia segue una seconda mattina di pioggia. Decidiamo di averne abbastanza e scegliamo di partire alla scoperta del luogo misterioso dove questo enorme nuvolone che sembra coprire buona parte del sud Italia abbia fine. Lasciare Fardella è difficile, forse perché il legame che abbiamo creato con questo luogo è molto forte e intenso, o forse più semplicemente perché, all’uscita dall’area sosta camper, un forte ed improvviso rumore metallico ci blocca spaventati. Dosso alto e passo del van lungo non sempre vanno d’accordo e la marmitta decide quindi di battere un duro colpo, staccarsi e adagiarsi poco delicatamente sull’asfalto. Ecco che, sotto ad una pioggia scrosciante, immersi nella nebbia, tiriamo fuori dal camper il nostro telo da spiaggia (in fondo siamo già a maggio!) e lo utilizziamo per improvvisarci meccanici. Risolto il problemino, asciamo finalmente Fardella alla volta di Policoro. Il nuvolone incombe ancora sulle nostre teste. Proseguiamo per Scanzano Jonico; ancora nuvole e ancora pioggia. Marina di Pisticci, Metaponto, Ginosa, Castellaneta…. Idem: una nuvola carica d’acqua che sembra senza fine.
Il sole ci accoglie solo una volta giunti a Grottaglie. Alla fine, a solo 100 chilometri da casa, l’abbiamo spuntata! Il centro storico di Grottaglie è meraviglioso: un dedalo di tortuose stradine che terminano nelle caratteristiche ‘nchiosce, i vicoli chiusi dove si affacciano le abitazioni. Scopriamo il quartiere delle ceramiche, ci soffermiamo di fronte alle botteghe artigiane all’interno delle quali mani sporche d’argilla creano forme uniche.
Ci sediamo nella trecentesca corte del castello Episcopio, l’antica dimora degli arcivescovi di Taranto e visitiamo il museo della ceramica. Ci fermiamo infine per una pausa e un aperitivo a “Casa Merini”.
Vincenzo, il proprietario del caffè letterario, ha lavorato in ILVA per vent’anni prima di cambiare vita e cominciare a gestire questo caffè pieno di libri e di musica. Lui ha cominciato a scrivere poesie di denuncia sulla situazione tarantina quando ancora era un operaio nell’altoforno ed ora serve ai tavoli col sorriso, accoglie i giovani e organizza per loro eventi, concerti e mostre. Vincenzo si siede a lungo a parlare con noi e ci fa capire che, seppur non sia la strada più semplice da percorrere, si può sempre scegliere di vivere ed abitare questo difficile sud anche senza piegarsi al ricatto occupazionale. Lui era entrato nell’enorme fabbrica come tutti gli altri ragazzi di questa zona, ma, una volta dentro, si era reso conto che il siderurgico aiutava più a morire che a vivere. “Casa Merini” è stata la sua ancora di salvezza, la sua rinascita, il suo riscatto. Questo ragazzo ci strappa una lacrima e un sorriso, ci fa apprezzare ancor di più questa giornata a Grottaglie che splende di sole, ci dà una speranza e ci prepara ad apprezzare ancor di più questo nostro girovagare in lungo e in largo nel profondo Sud dello stivale alla scoperta di luoghi e di storie di gente stracolma di dignità.
(Parcheggio comunale gratuito senza servizi a Grottaglie in via Leone XIII)